Musica: Schubert, Winterreise - critico
A volte, concentrati sull’interprete vocale e sulla fisionomia che ci restituisce del Viandante, tendiaquanto significativa e ardita sia la scrittura strumentale della Winterreise. Un pianista della personalità di Michel Dalberto (qui assecondato da un sontuoso Bôsendorfer Imperial) è invece l’ideale per rammentarci, ad esempio, l’incredibile modernità della scrittura frammentaria, nevrotica di « Letzte Hoffnung »; ma più in generale questa registrazione (realizzata nel 2010 per una piccola etichetta ginevrina e ora rimessa in circolazione da Claves) appare governata da un pianoforte sempre « presente » e incalzante, pronto a conferire pieno rilievo ai contrasti dinamici tipici del ciclo e generoso di accenti sferzanti, dando corpo tanto alla forza della natura quanto al tarlo interiore del Viandante; in misura tale da mettere quasi in ombra il contributo di un protagonista pure esperto come Stephan Genz. I tempi sono spesso un po’ più spediti dell’usato, a partire da « Gute Nacht »: gli avverbi che moderano l’andamento nelle prescrizioni agogiche vengono spesso sorvolati,, come il « piuttosto veloce » di « Erstarrung », e il « non troppo rapido » di « Rückblick », risolti qui in altrettante corse a perdifiato, nelle quali il Viandante appare in balia degli elementi e degli eventi; anche a causa delle difficoltà che la voce di Genz incontra sotto pressione, in particolare nel registro acuto, ove tende a opacizzarsi e divenire morchiosa. Un difetto che avevamo natato già molto tempo fa (vedi MUSICA 147) e che purtroppo ora si è assai accentuato, cosa preoccupante trattandosi di un cantante, all’epoca dell’incisione, appena trentasettenne.
Così, nei Lieder citati, due grandi frasi che rivelano la grandezza indomita del protagonista, la disperata « mit meinen heissen Tränen » e la nostalgica « un ach, zwei Mädchenaugen glühten » non ricevono ampiezza adeguata, mettendo a nudo la fragilità di questo Viandante. Anche se non dispone più del controllo vocale di un tiempo, neppure nelle mezzevoci che sono sempre state il suo forte, Genz rimane tuttavia un interprete generoso di suggerimenti, che impreziosiscono Lieder come « Rast » o « Frühlingstraum »: particolarmente articolato, plastico e avvincente quest’ultimo, dalle tre sezioni fortemente contrastanti, col pianoforte che preludia limpido e cristallino e la voce che nell’ultima strofa ci fa davvero visualizzare il protagonista che chiude gli occhi e ascolta il caldo battito del suo cuore. Più che gli aspetti titanici in effetti (anche se il baritono fronteggia coraggiosamente la tempesta di « Der stürmiche Morgen ») colpisce la profonda e vulnerabile umanità di un Viandante qui particolarmentee rassegnato al suo destino (vedi un desolato « Einsamkeit »): la pesante tristezza che impregna la strofa in minore del Lied del Tiglio ci dice come la consapevolezza della sua alterità sia assai più forte della forza luminosa del ricordo; mentre in « Täuchung » è proprio la serena normalità de focolare domestico che viene amaramente rimpianta. Una visione complessiva che mi ha ricordato l’incisione EMI di Olaf Bär e Geoffrey Parsons, simile anche per la fisionomia vocale del protagonista, per quanto più tradizionale nello stacco dei tempi.
Se il critico è costretto a segnalare come Genz incappi in qualche nota dall’intonazione incerta, come il « dort » che conclude « Der Lindenbaum » o il Si bemolle grave crescente, addirittura glissante di « Strom » in « Irrlicht », deve anche dichiarare ammirazione per il modo in cui sono restituiti altri dettagli: come la bella messa di voce (ripetuta) alla battuta 12 di « Wasserflut », integrata da un accento molto efficace del pianoforte sul secondo tempo, che rende eloquente l’intensità del dolore (« Weh ») di cui ci narra il Viandante.
SCHUBERT Winterreise Bariton Stephan Genz pianoforte Michel Dalberto
CLAVES 50-1606
DDD 67:51
Article's source: Musica Magazine, rivistaclassica.com, page 115-116 - June 2016
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