Musica: 5 étoiles pour le dernier album d'Astrig Siranossian
A prendere in mano il libretto di questo disco si rimane in dubbio se il CD sia stato pensato come lancio per il debutto discografico della giovane violoncellista francese Astrig Siranossian o piuttosto come pubblicità dei suoi « sponsores », il sedulo direttore artistico d’uno degli innumerevoli festival che spuntato fungivamente in ogni anfratto minimamente caratteristico di Francia e di Germania (per tacer della Svizzera e dell’Austria : solo in Italia paion cose impossibili da realizzarsi) e la banca francese che qualche soldo par non vergognarsi a scucirlo anche per sostenere simili iniziative e se ne fa pompa.
Potrebbero ribattere che l’artista sa presentarsi da sé. In effetti la sonatrice firma interessanti note di copertina, in cui spiega con intelligenza la scelta del programma, scandito nella si direbbe ormai irrinunciabile partizione di un classico moderno (Poulenc), di « un must » de repertorio più grato ai palati comuni (Fauré) e di un titolo (o un musicista) di meno consolidata notorietà (qui Komitas).
Impugnato lo strumento, la brava Astrig mostra fin dalle prime arcate di qual buona pasta essa sia fatta e con quale sagacia sia stata plasmata e insaporita con sapidi condimenti. Il primo dei quali è l’eccellente pianista Fouchenneret, appena ventiduenne e già maturo a sufficienza per mostrare quanto vale anche come interprete, per nulla trincerandosi dietro le polpe del violoncello nell’assumersi « comme il faut » la corresponsabilità nella decodifica e nell’indirizzo della musica sonata.
S’ascolta così una delle esecuzioni più ricche, vivide, acute, appassionanti ch’io ricordi della insidiosa Sonata di Poulenc, di cui pianista e violoncellista colgono a perfezione l’oscillante humor tipicamente poulenchiano : una frizzante ma disincantata ironia sempre coperta da un velo malinconico.
Musicalmente parlando significa un testo che incita a una franca gestualità, mancando la quale la musica si snatura in una seriosità che le è estranea, ma se il gesto (l’indicatore d’ironia) si fa troppo ostentato, essa perde di sostanza. Con Astrig e Théo, sostanza e profumi si gustano in tutta la loro pienezza.
Anche per questo, forse, si sarebbe potuto far seguire al tardo capolavoro di Poulenc una delle due Sonate di Fauré, piuttosto che gli evanescenti « morceaux » proposti. Salvo l’Élégie – dove gli affondi sulla tastiera del pianista intorbidiscono l’idillica atmosfera d’una plumbea nebulosità, contrastando con una robusta dose di rabarbaro (e direi anche di zenzero) la colata di zucchero bianco distribuita dal violoncello (cui manca, però, qui, la seduzione di un colpo d’arco realmente morbido, inciampando in diverse durezze nel legato cantabile), così arricchendo l’opera senza troppe pretese d’una interessante sotto trama quasi tragica -, il resto scorre nella disimpegnata gradevolezza della « pièce de caractère », senza granché aggiungere (e certo senza nulla perdere) rispetto ad altre e già note esecuzioni di questi innocui pezzulli.
Come omaggio alle proprie radici armene, la violoncellista propone a chiusura una dozzina di canti (circa venti minuti di musica folklorica dalle tinte espressive tra l’enfatico e il lamentoso, se no sian motivi di danza) armonizzati dal famigerato padre Komitas (posso risparmiar di dilungarmi sul « chi era costui », rinviando il lettore all’infervorato ristratto schizzato da Matteo Mainardi sul numero 274 di Musica).
L’ispirato santone pare che di passaggio a Parigi vedesse prosternarsi innanzi sé nientemeno che Claude Achille Debussy, il quale – per una volta dimentico del suo anti-dilettantismo – avrebbe esclamato di « inchinarsi al genio ». Probabilmente Komitas un genio lo era davvero (armonizzare quei nudi canti senza « normalizzarli » nel sistema tonale era opera, per quel tempo, inusitata), mi sembra, però, che gli manchi la seconda marcia. Mi chiedo (certo scioccamente, ma il lettore spero perdonerà) se, dovendo pagar una tassa all’Armenia, non si potesse farlo agli sportelli più attrezzati di Tigran Mansurian, che pure la Siranossian afferma di frequentare abitualmente.
Si sarebbe forse, così, potuto evitare che l’assaggio di cucina tipicadapo il sale mirabilmente dosato della saporita « entrée » Poulenc, già temperato dal miele profumato sparso sopra il contorno Fauré – eccedesse nello zucchero di un dessert che, dopo le prime incuriosite cucchiaiate, resta un poco sullo stomaco, lasciando del desinare un’impressione meno appagante di quanto non avera lasciato pregustare il primo, rifinitissimo, piatto.
Bernado Pieri - Note: ☆☆☆☆☆ / ☆☆
Article source: Bernado Pieri, Musica Mai / Juin 2016 – CD 1604 – N° 276
Award: 5 étoiles MUSICA
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