Musica: 5 Stelle for the last album of Benjamin Righetti
« Perché registrare un disco di organo nel 2016 ? Per arricchirsi, per guadagnare denaro? Assolutamente no. Per farsi ascoltare, per esistere nel nostro mondo musicale? Potrebbe essere. Per ascoltarsi, per far germogliare la cultura del proprio giardino interiore? Certamente. »
Questa la speculazione con cui Benjamin Righetti apre le note del libretto del suo nuovo disco per Claves. Una filosofia dell’arte ampiamente condivisibile. Il giovane pluripremiato organista e cembalista svizzero ha scelto di concertare al prezioso organo costruito nel 1834 da Aloys Mooser per la Cattedrale di Fribourg (Svizzera) l’intero corpus sonatistico di Mendelssohn. L’organaro Mooser fu particolarmente apprezzato da Mendelssohn stesso, il quale nel 1822 suonò il magnifico strumento della chiesa di St. Pierre-aux-Liens a Bulle (Svizzera).
Al di là della coerenza organologica, della consapevolezza musicologica, della sedimentazione della prassi esecutiva storicamente informata, e, in rapporto alle numerose registrazioni delle Sonate mendelssohniane oggi reperibili sul mercato, chi scrive, si sente di affermare con serenità che la versione di Righetti sia di « riferimento » per l’inizio del Terzo millennio. Il suo modo di « porgere » è assolutamente naturale, dal fraseggio lineare e cantabile – se fosse un cantante, direi perfetto nei fiati – senza forzare mai tempi ed esente dai parossismi barocchi (o presunti tali) che, fortunatamente, lentamente stanno abbandonando la fruizione di un repertorio maiuscolo.
Essendo affascinato dagli strumenti a tastiera (pianoforte, organo, cembalo, clavicordo), prediligendo l’organo, la tecnica di Benjamin Righetti è completa e il suo gusto personale – pur essendo in linea con l’Historische Aufführungspraxis – è unico. Lo si è potuto ascoltare nelle magnifiche Triosonaten di Bach o nella personale versione per organo della Sonate di Liszt (etichetta K617), ciò che sta alla base della poetica musicale dell’organista svizzero è « l’apertura verso una forma di scambio e di dialogo » (sono parole di Righetti stesso) con l’ascoltatore, sia esso concretamente presente a un concerto o virtualmente sintonizzato all’ascolto in CD.
Medelssohn lavorò alla composizione e alla revisione delle Sonaten dal 1839 al 1845, cioè sino a quando – nel 1845 – vennero pubblicate a Lipsia (e a Londra) per i tipi di Breitkopf & Härtel. Inizialmente avrebbero dovuto essere dei semplici Voluntary – come la tradizione inglese esigeva – poiché furono commissionati dagli editori Coventry & Hollier, ma nel corso della loro gestazione divennero sei corpose sonate per grande organo (da due a quatto movimenti) ispirate ai modelli del contrappunto bachiano, nonché ai canti fermi della chiesa protestante luterana.
Mi limiterò ad accennare qualche aspetto di ciò che più mi ha colpito, impressionandomi, nella lettura mendelssohniana di Benjamin Righetti. Ad esempio i tempi perfetti della Seconda Sonata; il secondo movimento : festoso, alla marcia, con un amalgama di ance strepitoso, virile ma allo stesso tempo pastoso e cantabile. Seguito da una fuga sobria, suonata con le sonorità rotonde del Principale e dell’Ottava, senza per questo offuscare la linearità del disegno contrappuntistico.
Nella Terza Sonata, invece, la fuga viene attaccata con la profondità dei fondi di 16’ (piedi), che conferiscono cantabilità austera a un movimento su cantus firmus – il De profundis – che segue un’introduzione festiva da corteggio nuziale. E che dire dell’Andante tranquillo che sigilla la composizione, una preghiera di francescana semplicità, la cui spiritualità si trasfigura, anche grazie all’effetto di tremolo scelto dall’organista svizzero.
La stessa dolcezza si ritrova nel finale della Sesta Sonata, che, dopo una tormentata serie di variazioni e fuga sul corale Vater unser in Himmelreich, risulta ancor più commovente per la spiazzante serenità con cui congeda l’ascoltatore.
Article source: Musica Magazine, Michele Bosio, N° 289, September 2017
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